alle volte è difficile descrivere un'emozione. c'è chi riesce a metterla in musica, chi si affida a mirbolanti avventure cromatiche e chi cerca semplicemente di ritmarla con le proprie parole. per chi non sa comporre o disegnare, la soluzione è perciò ovvia. ma non sempre il risultato è assicurato. quando mi trovo davanti ad una tastiera o ad un foglio di carta mi sembra sempre di essere come un bambino alle prime armi con le sorprese della vita. goffo ed impacciato essere minuscolo che gioca con il mondo aspettando di crescere. sono tentativi maldestri i suoi, spesso fallimentari. nonostante tutto l'allegria della scoperta è sempre dipinta sul suo volto.
anche le parole di tanto in tanto non vogliono uscire. ti abbandonano al silenzio. cercando di modulare un qualche suono le corde vocali sanguinano e la bocca si impasta del liquido denso e vermiglio. è un'apnea di significati dove sfugge anche la più banale definizione. le declinazioni si aggrovigliano nel cervello creando rumorosi ingorghi che rallentano tutti i pensieri. le articolazioni scricchiolano sotto il peso degli aggettivi e degli avverbi, granitici macigni di conoscenza.
"Can you tell me what was ever really special about me all this time"
qua le cose non stanno andando molto bene. forse è solo una questione di percezione. i sensi sbandano e deragliano sotto l'alluginogeno effetto degli stimoli esterni. le coordinate non sono più precise come una volta ed il senso di smarrimento penetra a fondo nelle ossa facendo digrignare i denti.
"I started running but there was no where to run to"
i posti dove nascondersi si sono esauriti con il passare del tempo. prenotati, occupati, distrutti. dove posso rifugiarmi per dare tregua alla fatica che impregna il sudicio vestito che porto? basterebbe una piccola nicchia dove accoccolarsi per qualche attimo; qualche prezioso attimo.
"I sat down on the street and took a look at myself "
riflettere è un atto estremamente pericoloso ed estremamente utile allo stesso tempo. le cupe figure che incontro nelle peregrinazioni pindariche non hanno nulla di rassicurante. sono spettri votati all'autofustigazione che perdurano nel loro triste intento. preferiscono sanguinare che curare le loro profonde ferite. sono illusioni statiche che non muovono passo alcuno. non hanno occhi, retine sensibili e recettive e per questo rinunciano a vedere; come se la risposta dei sensi dipendesse solo dalla presenza di tessuti organici.
"Say your goodbyes if you've got someone you can say goodbye to"
avrei voluto poterti salutare ancora una volta. dirti uno o due segreti che custodisco gelosamente più per orgoglio che necessità. giocare con le lettere come con i tasti di un pianoforte non è più diveretente come un tempo ma regala ancora qualche emozione scaricata sui nervi sotto forma di endorfina. ieri pensavo che le foto ingialliscono con il passare dei secondi alterando l'autenticità del ricordo ma rendendolo così più dolce. suppongo di avere un diabete cerebrale che impedisce di assaporare questa ambrosia. mascherare la malattia non aiuta a guarire, dicono i medici. ma mostrarla svilisce ogni sentimento.
"There is no one on the corner and there's no one at home"
erano tutti lì ad aspettare con me ma il vuoto del momento ha risucchiato ogni frase di conforto. poi è imploso violentemente allontando tutti. gettare qualche parola o battuta di compagnia non risulta così difficile. è qualcosa simile al recitare. passerà prima o dopo, dicono che basta dare tempo al tempo. anche se ogni giorno quando il sole brucia dietro le montagne sento il conato della mancanza che spinge sulla bocca dello stomaco. adesso è difficile dire se le cose stanno andando bene o male. diciamo che vanno. punto.
28 febbraio 2008
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