le labbra sottili si muovono ondeggiando sul viso pallido, che contrasta con l'abbronzatura appena accennata del corpo stanco. la voce trema imbarazzata e i secondi prendono le sembianze di una grigia era geologica. lo stregone ha pronunciato il suo verdetto dalle colline gialle come il grano e rosse come campi di papaveri sterminati. la pelle si rizza facendo sembrare lo spaventapasseri di paglia un gatto impaurito. gli uccelli si levano in volo maestosi spiegando le ali lunghe metri e metri e oscurando il cielo rabbioso. piove cenere girgia e il vento scoperchia le teste mostrando cervelli rosei irrorati di sangue d'animale.
qualcuno è chino a vomitare fra imprecazioni e gridi d'odio che raggiungono lo stregone alla velocità del supersuono. le spade e gli scudi vengono battuti come piatti sulle armature e sugli elmi che si infiammano bruciando le pupille incredule dei più deboli. il fuoco dell'ambizione crepita mentre le bestie assonnate sudano e bisbigliano preghiere sottovoce. le braccia dello stregone piene di campane e campanelli e campanacci si muovono frenetiche facendo cadere a terra un milione - no! - un miliardo di tintinnii. rotolano e ruzzolano giù dalla colline blu come il cobalto più puro delle miniere del nord. i bambini si rifugiano sotto le giostre arrugginite del parco sporcandosi le mani e le ginocchia di fango.
i guerrieri della notte non possono più aspettare e escono al crepuscolo, compatti; come legione di missionari animati dalla fede cantano inni alla gioventù passata a distruggere fegati e polmoni e pancreas e reni. cantano malinconici come gli innamorati prima di lasciarsi e baciano le loro mogli e le amanti come se dovessero morire oggi. ma lo stregone ha parlato: nessuno ha la spada di damocle appesa sopra le cervella. le vecchie, i cui occhi vedono ormai chiazze di colori ingialliti dal tempo e dal dolore, cuciono vestiti da sposa per le loro figlie. sono belli come i diamanti tagliati dai mastri olandesi, ornati di pizzi e merletti, alcuni con sbuffi che si appoggiano annoiati uno sopra l'altro. il filo passa fra i tessuti come se avesse memoria del percorso da seguire, si incrocia e si nasconde, alle volte veloce e silenzioso come il felino sulle tracce della preda, altre maldestro come un obeso in una cristalleria di gnomi irlandesi.
il corno richiama i pretendenti sul campo di battaglia. lo spaventapasseri incrocia gli occhi e storce il naso. i drappi di stoffa che pendono dai vestiti lerci sventolano come bandiere multicolore, una per ogni razza della nazione. intona un requiem per i caduti della battaglia dei grandi monti. sa che riposano custoditi dalla neve e percorsi da brividi gelidi per punizione all'arroganza delle loro pretese. un agricoltore paesano non può combattere se non con zappe e badili in sella a ciuchi che ragliano e si vendono per una mezza carota.
lo stregone mette a bollire una pentola d'acqua d'oro zecchino con larghe maniglie che pendono ai fianchi. accatasta legna, sempre di più, getta abiti, libri di religione e di politica, stinchi di cadaveri, femori rubati da tutti gli ossari del mondo. brucia poesie e pometti d'amore, brucia le parole dei saggi che hanno cantato la bellezza delle stelle delle sere d'agosto e la dolcezza del canto delle cicale. brucia i quadri dei grandi accademici liberando le figure immortalate nelle tele. brucia le tempere e i colori ad olio, le batterie ossidate dei camion che viaggiavano sulle autostrade del futuro da città in città; brucia i chilometri percorsi dai viaggiatori incalliti con le loro tende e i loro sacchi a pelo. brucia i viaggiatori stessi che stanchi hanno ceduto alle litanie del dio orfeo. dà alle fiamme i miti degli uomini e degli orchi, i trapezi dei nomadi circensi e le sbarre d'acciaio delle gabbie, i lucchetti di tutti i cancelli delle pianure meridionali.
in preda all'estasi del distruttore scava a mani nude una fossa profonda come l'inferno, le unghie sporche di terra. vi seppellisce le esequie delle religioni pagane, onorandole con una lacrima che si trasforma in fiume di speranza. mette la mano in tasca e con un gesto degno del più teatrale prestigiatore estrae un flauto di ebano, che porta alle labbra mentre dilata il diaframma.
suona un blues stonato e le fiamme cominciano a ballare al ritmo malinconico di quella melodia. le distese d'erba diventano indaco intenso e arcobaleni sbiaditi spuntano come piante di fagioli messicani e a poco a poco prendono colore. lo stregone ne afferra uno per la coda e lo pizzica come un strumento a corde. è il tempo di danze latinoamericane! gli aborigeni delle isole dei monsoni lanciano gli scudi e abbandonano le lance avvelenate ammansiti come serpenti a sonagli. i vichinghi della penisola degli orsi bianchi innalzano i boccali di sidro e li scolano d'un fiato. nessuno deve morire, non oggi.
lo stregone riempe la fossa con l'acqua incandescente e si tuffa. nuota fino al fondo, sembra un delfino dell'oceano indiano, e riemerge poco dopo, vestito con un completo nero cucito su misura e le scarpe di pelle di pitone, appuntite con un temperino comprato al mercato delle pulci. lo stregone è diventato un mago. le feste proseguono condite di alcool e erba, di suoni e schiamazzi. nessuno è morto, non oggi almeno. lo stregone si siede e appoggia la schiena sul cumulo di carboni ardenti.
"cosa vuol dire sognare?" - mi chiede mentre si accende una sigaretta.
"sognare è suonare un arcobaleno su colline color indaco." - rispondo.
"prendi..." - e mi porge il pacchetto.
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