4 settembre 2016

Ring-ding-ding-ding-dingeringeding



"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Suona il cellulare, uno squillo secco. Numero sconosciuto. Rispondo pensando sia la solita chiamata dell'uomo call center, pakistano o calabrese. Mi aspetto l'offerta del mese, la proposta di un contratto oltre il vantaggioso. E invece niente, silenzio. Come fossi in un film sento una goccia di sudore che si affaccia sulla tempia, sale la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato. Pensi ai demoni che hai seminato lungo strada. Pensi alle ex deluse, agli amici beffati e mandati a quel paese. Sono ripiombato negli anni novanta: gli anni dei telefoni fissi senza schermi ma con grandi ruote forate e numeri inchiostrati, dove non sapevi con chi stavi parlando finché non alzavi la cornetta.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Chiedo se c'è qualcuno, perché qualcuno dall'altra parte ci deve essere. C'è sempre stato. Con voce agitata dico che è un brutto scherzo. Un pessimo scherzo. Dico che non ho tempo da perdere anche se è una balla colossale. Ogni giorno i secondi mi cadono dalle tasche, dalle mani. Li perdo come da bambino perdevo le caramelle della nonna. In fondo qualcosa alla fine della giornata deve essere andato perduto. Non si può tenere tutto, non per sempre. 

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Il cellulare non emette suono. Sto camminando come un forsennato. Ora diventa una gara di resistenza, una sfida personale a chi riattacca prima. Ho capito che chiunque ci sia dall'altra parte si sta prendendo gioco di me e di colpo mi fermo. Mi chiedo il senso di questa guerra fredda con il signor Nessuno, con chi sicuramente non ha di meglio da fare, chi magari mi sta spiando da dietro un angolo e ride dietro alle mie spalle. La testardaggine mi obbliga a non cedere. Ho imparato a lasciare perdere in questi anni ma dentro me qualcosa mi impone di puntare i piedi. Stacco il cellulare dall'orecchio e osservo lo schermo. I minuti di conversazione aumentano seppur vuoti di parole.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Metto l'auricolare, lo calco sull'orecchio. Provo a percepire ogni vibrazione, ogni rumore in sottofondo. Forse è solo la mia immaginazione, forse un problema tecnico di qualche macchina automatica. Forse qualche nano burlone ruba le parole elettromagnetiche prima che possano arrivare a me e le nasconde in un libro di carta. Forse mi stanno parlando, proprio con quel silenzio, alieni che non hanno il dono della parola. Da un'altra epoca, da un'altra dimensione. La mia testa si apre e i fantasmi e le creature che vi abitano cominciano a circondarmi. Rivaluto i cospirazionisti, l'area 51, le scie chimiche, gli ufo. Chiedo consiglio al signor Tesla in persona che mi fa una pernacchia antipatica e alza le spalle ridendo; ma ridendo forte. Apre la bocca e si magia tutto quello che era appena comparso. Saluta alzando la tesa del cappello con due dita e saltella via a cavallo di un pogo giocattolo.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Torno nel posto dove mi ero lasciato, il cellulare all'orecchio. Vedo la gente che corricchia sulle punte dei piedi andando a cercare un riparo. Qualche goccia di pioggia cade leggera, qui nella nostra dimensione, nel nostro spazio, nel nostro tempo. Solo allora sento una voce, cristallina, che fa vibrare gli auricolari.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Dice solo questo. Riattacca nell'attimo successivo. Una voce androgina ma familiare, una voce che le raccoglie tutte. Una voce che non appartiene a nessuno. Mi duole la schiena. Una fatica allucinante mi assale all'improvviso, una fatica da lavoro in miniera. La pioggia si infittisce e non mi resta che assottigliarmi contro un muro cercando il riparo di un esile conicione a metri dalla mia testa.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

Non penso ad altro da giorni. Non di chi fosse la voce, penso solo alle parole e al loro peso. Perché in fondo quelle erano parole leggere, come lo sono tutte. Leggera era anche quella frase, trasparente come l'aria che respiro. Ci sono volte in cui non posso associare ai sentimenti nemmeno parole, figurarsi un colore. Poi perché uno soltanto? E se ogni sentimento fosse un'arcobaleno di colori, una moltitudine immensa e poi se scosso si mettesse a girare rapido su se stesso diventando bianco come il latte, bianco come la velocità della luce, bianco come i petali di una margherita nelle mani di un'innamorata? In fondo tutti i sentimenti sarebbero dello stesso colore. 

Sarebbe una gran bella beffa. 

Ogni tanto quando voglio capire qualcosa di più di questo mondo, quando mi capita di fermarmi e chiedermi il significato della giornata che sto vivendo, prendo il telefono e faccio un numero a caso. Quando rispondono ascolto le voci delle persone dall'altra parte. Alcuni riattaccano subito, altri imprecano, pochi bestemmiano, alcuni ridono.

E solo ai più pazienti finisco per chiedere sempre la stessa cosa.

"Lo sai qual'è il colore dei sentimenti?"

4 gennaio 2016

To Her - Remastered Edition


Visto che l'anno vecchio sta finendo ed il nuovo è dietro l'angolo ho deciso di fare pulizia fra le bozze del blog. A sorpresa, ho ritrovato un vecchio post che avevo rimosso a seguito di quella che oggi ritengo una semplice "scaramuccia fra bambini". Mi ha strappato un sorriso nella rilettura e quindi ho deciso di riproporlo. C'è dentro un po' de Il Piccolo Pricipe: un libro che mi lascia piuttosto indifferente, ma che contiene al suo interno qualche eterna verità sulle relazioni umane. 

Nonostante il pezzo fosse scritto abbastanza bene, almeno secondo la modesta opinione dei (pochi) lettori che erano capitati da queste parti, volevo cambiare qualcosa: rattoppare qualche strappo, ravvivarne il colore. Insomma, tirarne fuori qualcosa di buono grazie alla consapevolezza del poi. Ma in fondo un ricordo è un ricordo e nessuno ha il diritto di alterarne la percezione, neppure chi lo ha vissuto. Troverete solo qualche nuova pennellata qua e là per correggere qualche sbavatura, nulla più. Non mi sono mai lasciato cullare dalla nostalgia, quindi non aspettatevi malinconia, né rassegnazione. Sul fondo della bottiglia non si trovano sentimenti ma solo la consapevolezza della fine di una storia, come tante ce ne sono al mondo. 

Alla fine, parafrasando Murakami, quello che deve rimanere, rimane. Ma, più importante, quello che si deve perdere, si perde. 

Ed è giusto così.



To Her



Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe,
"io, non ti volevo far del male,
ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"È vero" disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"È certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano"

Ricordo i suoi capelli color dell'estate che splendevano anche nelle giornate di pioggia. Il profumo di menta e dolcezza che l'accompagnava ogni volta che voleva mostrarsi ai miei occhi increduli. Ricordo il giardino nascosto ai piedi del castello, quasi fosse una fiaba medioevale. Ricordo la chiesa silenziosa sulla cima della collina, dove potevamo perderci nel silenzio della città. Ricordo la terrazza dove invece la città diventava nostra e nostra ancora. Ricordo il sottotetto caldo e afoso, in cui ci nascondevamo alla sera. Ricordo le labbra tinte di un rosa leggero leggero; i suoi occhi marroni e profondi che riflettevano la mia insicurezza. Ricordo le corse in macchina per prendere la corriera, perché per quanto durasse il pomeriggio il tempo non era mai abbastanza. Ricordo il guardarla nello specchietto della macchina allontanarsi di spalle, volerla rincorrere ma avere troppa paura. Ricordo osservarla girarsi e correre verso di me, e poi il nostro primo bacio.

Ricordo le rose gialle, i libri e i cd. Ricordo i litigi, il non essere mai abbastanza, il cercare qualcosa che distraesse da tutto il resto. Ricordo il prendere le cose troppo sul serio, le lacrime tinte di blu cobalto, la mia maglietta sporca. Ricordo le panchine e i prati, le parole che non le ho detto e quelle che invece avrei voluto. Ricordo le stelle che guardavamo mentre ero al telefono e sussurrava per non farsi sentire da chi le stava intorno, quasi avesse le labbra appoggiate al mio orecchio. Ricordo l'agitazione e la testardaggine, ricordo l'ansia e la disattenzione. Ricordo di averla persa da qualche parte nel mio continuo vagare, stanco del giorno e della notte. Ricordo l'esasperazione e il distacco.

L'altro giorno stavo leggendo una storia di cavalieri con armature brillanti, di draghi volanti, di torri dimenticate ornate da edera verde e di principesse dalle lunghe trecce. Cercavo fra le righe il lieto fine, dove ogni paura svanisce e il coraggio viene ripagato. Prima ancora che potessi terminare la mente ha cominciato a vagare e l'immaginazione ha risucchiato ogni parola scritta nel suo vortice di magia e disincanto. Cercavo il mio e il suo volto assieme ma non li ho trovati. Ero troppo occupato a combattere contro i mulini a vento per rendermi conto di cosa stava succedendo. Pensavo di sapere già la fine del racconto e per questo, di prendermi del tempo per conoscermi meglio. Ma le principesse non aspettano e i cavalieri si susseguono.

E io "non ho mai creduto che ci sia un lieto fine. Solo che prima o poi si termina al meglio che si può. Solo che nell'interagire sta sospesa la percezione dell'esserci". Volevo dire così tante cose che probabilmente sarei rimasto in silenzio ad osservare, come mio solito. Volevo riparare agli sbagli e agli errori perché vivo nel sogno irrealizzabile che alla fine qualcosa di buono può sempre succedere.

E noi? Noi dovevamo rubare parole alla notte, bruciare e ballare come un fuoco sulla spiaggia, riposare assieme come la rugiada del mattino sulle foglie assonnate, e poi rinascere ancora, temprati dal tempo, nella più colorata primavera delle nostre anime.

Nulla più.

Ma questa, che voglia crederci o no, è un'altra storia. Non più la mia.

" [...] Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha..."
"Che cosa vuol dire?"
"Quando tu guarderai il cielo, la notte,
visto che io abiterò in una di esse,
visto che io riderò in una di esse,
allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero.
Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!"
E rise ancora.
"E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre),
sarai contento di avermi conosciuto.
Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me.
E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere...
E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere
guardando il cielo. Allora tu dirai:
"Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!"
e ti crederanno pazzo."T'avrò fatto un brutto scherzo..."
E rise ancora."Sarà come se t'avessi dato,
invece delle stelle,
mucchi di sonagli che sanno ridere..."
Antoine de Saint-Exupèry