Come siamo arrivati a questo punto?
Abbiamo ventott'anni portati a fatica dietro barbe incolte, risvolti ai jeans che ti puoi permettere solo se hai caviglie da ballerina e camicie con fantasie vomitate da improbabili artisti. Un retaggio del diffuso hipsterismo che ha colpito duro la società con un pugno ben assestato nello stomaco. Una battaglia persa ancora prima di annunciare l'intenzione della guerra: il rigetto del conformismo che si conforma a sé stesso; in due parole, una caricatura.
Ci siamo arrivati di soppiatto, senza rendercene conto. Come quelle gite domenicali che fai da piccolo, legato ad un seggiolino di sicurezza in una familiare con tutta la famiglia attorno. Non sai perché sei lì, non sai cosa stai facendo, non sai dove stai andando. Sei perso nel paesaggio che scivola sul finestrino come un 18 millimetri a cui hanno applicato un filtro Instagram per renderlo più reale. Ad un tratto la macchina frena, scendi, ti svesti e sei davanti ad una pozza d'acqua con trecento tedeschi bianchi come il latte e duri come il diamante che ne ornano la riva. Sei lì, punto.
E tu non sai nemmeno se ci volevi venire.
Ti trascinano in cima al costone a sud della zona balneare. Di solito è lo zio che vuole fare il simpatico a tutti i costi perché non ha figli suoi e deve compensare cercando di uccidere quelli degli altri. Ti sporgi e l'occhio affoga nei metri che separano in verticale la terra dall'acqua. La pupilla si lascia inghiottire dall'iride, investita dalla luce riflessa con una violenza inaudita. Un passo indietro per il bagliore e quasi si perde l'equilibrio. Tutti si buttano e allora prendi la rincorsa.
E tu non sai nemmeno se volevi saltare.
L'acqua è fredda. Non tocchi e fai fatica anche a nuotare. Ti viene in mente che hai anche fatto colazione. Abbondante. Ma ormai ci sei dentro fino al collo. In certi momenti anche sopra il collo, quelli in cui respiri oltre all'ossigeno anche l'idrogeno: per capirci, quando affondi perché non hai più forze. Due parole ti risuonano in testa: "colazione" e "abbondante". Perché, in fondo, non sai fare altro che ripeterti.
Come siamo arrivati a questo punto?
Abbiamo ventott'anni, l'età in cui ti aspetti che andrà tutto bene perché, come diceva un grande, hai passato l'età del tragico. "I poeti muoiono a vent'anni e le rock star a ventiquattro". E tu non sei mai stato né poeta né musicista. Ma fai quello con l'orecchio fino e la passione per i libri, ascoltando band che nessuno ascolta e leggendo libri che nessuno legge, credendo che in fondo a qualcuno possa interessare come argomento di conversazione. Perchè è facile fare il sapiente davanti agli angeli della desolazione, con il contraddittorio assente e la platea ignorante che ascolta personaggi ancor più ignoranti cresciuti cibandosi del proprio sé.
Di profondo non c'è mai stato nulla, nemmeno qual lago. Di profondo non è mai esistito nulla, ché tutto è già stato scritto o detto o dovrà essere scritto ed essere detto. L'istante in cui stiamo esistendo è già passato e futuro e noi non lo sappiamo perché crediamo sia eterno. Ventott'anni sono un preludio, un allegro minuetto che si diffonde senza forma e senza tempo in una dimensione metafisica: invenzione, pura invenzione dell'intelletto. Perché la più dura verità è che tutto è un'invenzione. E di questo ci beffiamo finché non incappiamo in "certe bizzarre occasioni e circostanze in questa strana mistura che chiamiamo vita in cui un uomo prende l'intero universo per un'immensa burla, sebbene l'arguzia di ciò non riesca a percepirla che indistintamente, e nutra più d'un sospetto che la burla non sia alle spalle d'altri bensì alle sue."
Perché, in fondo il massimo pensiero a cui abbiamo aspirato nella confusione generale è stato solo uno: "colazione" e "abbondante".
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