7 dicembre 2015

Short Dreamlike Delirium (Breve Delirio Onirico)



Nell'aria si diffonde l'odore di tiepido dei tramonti rosso acceso. Nella rete della loro tranquillità una moltitudine di lacrime viene purificata. 

Solo un lontano ricordo sopravvive sbiadito, assieme a qualche stridio di cicala accoccolata nell'erba alta.

Un ritmato gioco di sfumature avvolge l'orizzonte, fino alla cima del mondo che il mio occhio conosce. Sembra strappare l'Inferno dal ventre della Terra. 

Non c'è violenza nell'esplosione immobile. La delicatezza della carezza di una madre. 

È un frammento di memoria che riempe la nostra parte di infinito, quaggiù, al di qua del Paradiso.

3 novembre 2015

Stillness



- "Cosa cerchi in fondo a quella tazza?"

Sbatto gli occhi velocemente e guardo mia sorella. Non so per quanto tempo ho fissato il cerchio lilla lasciato da una tisana di un non ben precisato gusto. E' uno di quei momenti in cui ti perdi in un'immagine, una qualunque, finché qualcuno non te ne tira fuori a forza con un brusco scossone. Hai messo in pausa il mondo dal suo continuo movimento e sarebbe giusto che solo tu decidessi quando restituirgli vita, ma quaggiù non ci è concesso molto e questo di certo no.

- "Vestiti, che dobbiamo andare! Sei pronto?", sento rimbeccare dall'altra stanza. 

Mi alzo svogliato. Devo sempre andare da qualche parte ultimamente. Il medico, in palestra, in università. Alla fine della giornata vedo tutti i posti assomigliarsi come nelle foto delle riviste di design. E' tutto uguale, tutto ripetuto, ritmato, reinterpretato. Persino i dettagli che dovrebbero distinguerli l'uno dall'altro finisco per essere occhi senza colore o dita senza impronte, tutti uguali come piccole perle sferiche, perfette, appese come decorazioni impercettibili ai lobi delle stanze e degli atrii.

- "Sempre in ritardo sei... Ti vuoi muovere?"

Non sopporto più le domande. Poche sono interessanti e ancora meno sono quelle intelligenti. Le persone ti chiedono sempre le cose più ovvie. Non hanno il coraggio di approfittare nemmeno dei rapporti più stretti per paura di incrinare l'intimità conquistata a fatica nel tempo. L'intimità non è altro che una corda sospesa nel vuoto tesa fra persona e persona. Se vuoi avvicinarti non devi avere paura dei passi da fare, anche piccoli. Devi testare l'equilibrio.

- "Hai voglia di uscire? Altrimenti io sto anche a casa eh!", minaccia con voce acuta mia sorella. 

Comincio a spogliare i vestiti nell'armadio e decido per colori tenui, quasi anonimi, ma delicati. Equilibrio; è sempre stata una parola che racchiude in sé un'incredibile forza, una magia arcaica che si perde nel rumore delle serpentine dei refrigeratori, delle marmitte delle automobili, nelle persiane elettriche che si abbassano al tramonto per nascondere le viscere delle nostre abitazioni piene di quelle stanze identiche fra loro, identiche a se stesse. Appese alle finestre solo nuvole di stoffa, ancorate alla realtà che custodiscono immobili, sempre sull'attenti e senza ombre o pieghe. Nella loro austerità si nasconde la tristezza velata di chi non vuole condividere i segreti che gesta in grembo, come un vigliacco, da tempo immemore e forse da più di una vita intera.

- "Lavala quella tazza, per favore... "

Non mi va. Non voglio togliere quello che è stato aggiunto anche se superfluo, come un cerchio colorato, qualche increspatura di colore sui bordi, la riga irregolare di una goccia scivolata sulla ceramica lucida. 

- "Allora, andiamo?", dice impaziente.

Sono ancora indeciso, rallentato. Mi chiedo se in quella sospensione, nella solennità di quell'attimo in cui tutto era immobile cercavo un indizio di felicità, illudendomi di trovarla sul fondo di una tazza di primo mattino. La felicità è un fiore di carta nato da infinite pieghe che muore nell'istante stesso in cui si schiude, muore nel fuoco vivo del rancore covato dal mondo intero. Ogni petalo si contorce e si fonde con la fiamma, dissolvendosi in frammenti di cenere che volano in vortici al cielo. La felicità è come la perfezione: rapida, veloce. E' la sensazione dell'eterno che filtra l'essenza della gioia condensandola in una lacrima di estasi. E' un istante, nulla più di un istante. 

- "Eccomi, arrivo, devo solo prendere il cappotto..", rispondo.

Il cappotto di lana mi fa sentire subito al caldo, una coccola inaspettata. Appena metto piede fuori dalla porta mi si gela il viso, la pelle fredda. 

- "Corri che arriva il bus..", suggerisce mia sorella, e scompare a grandi passi.

30 aprile 2015

Der Untergang



Come siamo arrivati a questo punto? 

Abbiamo ventott'anni portati a fatica dietro barbe incolte, risvolti ai jeans che ti puoi permettere solo se hai caviglie da ballerina e camicie con fantasie vomitate da improbabili artisti. Un retaggio del diffuso hipsterismo che ha colpito duro la società con un pugno ben assestato nello stomaco. Una battaglia persa ancora prima di annunciare l'intenzione della guerra: il rigetto del conformismo che si conforma a sé stesso; in due parole, una caricatura. 

Ci siamo arrivati di soppiatto, senza rendercene conto. Come quelle gite domenicali che fai da piccolo, legato ad un seggiolino di sicurezza in una familiare con tutta la famiglia attorno. Non sai perché sei lì, non sai cosa stai facendo, non sai dove stai andando. Sei perso nel paesaggio che scivola sul finestrino come un 18 millimetri a cui hanno applicato un filtro Instagram per renderlo più reale. Ad un tratto la macchina frena, scendi, ti svesti e sei davanti ad una pozza d'acqua con trecento tedeschi bianchi come il latte e duri come il diamante che ne ornano la riva. Sei lì, punto.

E tu non sai nemmeno se ci volevi venire.

Ti trascinano in cima al costone a sud della zona balneare. Di solito è lo zio che vuole fare il simpatico a tutti i costi perché non ha figli suoi e deve compensare cercando di uccidere quelli degli altri. Ti sporgi e l'occhio affoga nei metri che separano in verticale la terra dall'acqua. La pupilla si lascia inghiottire dall'iride, investita dalla luce riflessa con una violenza inaudita. Un passo indietro per il bagliore e quasi si perde l'equilibrio. Tutti si buttano e allora prendi la rincorsa. 

E tu non sai nemmeno se volevi saltare.

L'acqua è fredda. Non tocchi e fai fatica anche a nuotare. Ti viene in mente che hai anche fatto colazione. Abbondante. Ma ormai ci sei dentro fino al collo. In certi momenti anche sopra il collo, quelli in cui respiri oltre all'ossigeno anche l'idrogeno: per capirci, quando affondi perché non hai più forze. Due parole ti risuonano in testa: "colazione" e "abbondante". Perché, in fondo, non sai fare altro che ripeterti.

Come siamo arrivati a questo punto? 

Abbiamo ventott'anni, l'età in cui ti aspetti che andrà tutto bene perché, come diceva un grande, hai passato l'età del tragico. "I poeti muoiono a vent'anni e le rock star a ventiquattro". E tu non sei mai stato né poeta né musicista. Ma fai quello con l'orecchio fino e la passione per i libri, ascoltando band che nessuno ascolta e leggendo libri che nessuno legge, credendo che in fondo a qualcuno possa interessare come argomento di conversazione. Perchè è facile fare il sapiente davanti agli angeli della desolazione, con il contraddittorio assente e la platea ignorante che ascolta personaggi ancor più ignoranti cresciuti cibandosi del proprio sé.

Di profondo non c'è mai stato nulla, nemmeno qual lago. Di profondo non è mai esistito nulla, ché tutto è già stato scritto o detto o dovrà essere scritto ed essere detto. L'istante in cui stiamo esistendo è già passato e futuro e noi non lo sappiamo perché crediamo sia eterno. Ventott'anni sono un preludio, un allegro minuetto che si diffonde senza forma e senza tempo in una dimensione metafisica: invenzione, pura invenzione dell'intelletto. Perché la più dura verità è che tutto è un'invenzione. E di questo ci beffiamo finché non incappiamo in "certe bizzarre occasioni e circostanze in questa strana mistura che chiamiamo vita in cui un uomo prende l'intero universo per un'immensa burla, sebbene l'arguzia di ciò non riesca a percepirla che indistintamente, e nutra più d'un sospetto che la burla non sia alle spalle d'altri bensì alle sue."

Perché, in fondo il massimo pensiero a cui abbiamo aspirato nella confusione generale è stato solo uno: "colazione" e "abbondante".