20 giugno 2010

Little Red Car

non ricordo molto di quel giorno. solo molto rumore, le mani fisse sulle orecchie mentre il corpo si contorceva urlando. non ricordo le lacrime scendere e bagnare la punta delle scarpe. non ricordo il colore dei tuoi capelli, il tuo profumo condensato nell'aria attorno.

scuotevo la testa a destra e a sinistra. ripetevo che stava andando tutto per il verso giusto. guardavo le statue immobili e la piazza viva e popolata che vociava caotica. cercavo di rassicurarmi dicendomi che il tempo richiedeva coraggio e che il dolore lo avrebbe portato via il vivere, caricandoselo sulle spalle.

ricordo la disattenzione e l'incomprensione, il prendere strade separate. ricordo il treno che partiva mentre io sedevo sulla panchina di marmo della stazione. la sigaretta accesa e il sole mattutino che irraggiava tutto lo spazio aperto. il bambino accanto a me giocava da solo con una piccola Ferrari rossa, la vernice scrostata. Zigzagava sulle mattonelle di porfido grigie dal disegno banale.

pensavo di aver già vissuto perché la vita mi spingeva a saltare e guardare avanti. pensavo di aver liberato ogni cosa dall'apparenza che l'offuscava. pensavo di vedere il colore dei fiori in ogni sua sfumatura più sottile e impercettibile.

non ricordo il giorno: non sono mai stato bravo con le date. doveva essere inverno perchè il freddo avvolgeva ogni cosa. il cappotto verde non bastava a trattenere il caldo e i brividi prendevano il sopravvento. facevo ordine fra i cassetti della memoria e l'euforia della nuova avventura ristabiliva equilibrio fra i pensieri.
il bambino era ancora assorto nella sua immaginazione; faceva strani sbuffi onomatopeici con le labbra socchiuse. lo guardavo assorto cercando di capire cosa stesse combinando nella sua innocenza infantile.

d'improvviso ha sbattuto le mani a terra, il viso imbronciato. qualcosa doveva essere andato storto nel suo piccolo mondo. la macchina era capovolta. doveva essere qualcosa di importante. abbiamo incrociato gli sguardi: gli occhi si specchiavano violenti e gli iridi cambiavano colore come infuocati. la sigaretta che tenevo fra le dita rosse e gelate si era spenta. l'odore del fumo si avventava sull'olfatto con una sottile cattiveria. le ombre ci preparavano alla guerra disegnando immagini tribali sui nostri volti.

cercavo il significato di tutto perché volevo capire ogni cosa. leggevo fra le righe della storia perché trovavo noiosa la trama della nostra vita. argomentavo con i più pazzi oratori per rivendicare l'ebrezza della discordia.
non ricordo molto di quel giorno, se non il caos che vorticava in ogni mia parola, in ogni mia espressione, in ogni mia certezza.

ci siamo guardati fino a sera, verde nel verde riflesso. eravamo così uguali che sembravamo estranei l'uno all'altro. ricordo il porfido ingiallire; la fame attaccare lo stomaco con una morsa tenace, come se non mangiassi da mesi. ricordo il bambino piangere, piangere come mai avevo sentito prima. ricordo il giocattolo abbandonato come non fosse mai esistito. aveva un aspetto malandato e stanco. le ferite degli anni l'avevano abbruttito così tanto, che a stento si riconosceva lo splendore che aveva alla nascita.

"sei triste?" - ho chiesto educatamente. il pianto si è fermato in un istante sibillino. tentennava a rispondere.

"no, non lo sono" - mi ha detto.

"perchè le lacrime allora? sei solo?"

"no, non lo sono"

mi ha guardato a lungo. mi guardava con rancore cercando di non esplodere contro di me.

"piango perchè sei triste" - ha sancito alla fine di un silenzio interrotto solo dai treni che si rincorrevano sulle rotaie arrugginite.

"vuoi giocare?" - era buio.

è stata l'ultima cosa che ricordo. non ho mai risposto. ho acceso un'altra sigaretta. un'altra ancora, mentre aspettavo che succedesse qualcosa. ma c'erano solo persone che andavano e venivano e treni che rombavano e saettavano colorati dai graffiti fatti con bombolette spray. era tutto un nuovo mondo, pur rimanendo sempre lo stesso.
il bambino era andato via. neanche mi aveva salutato. mi sono alzato stiracchiandomi, le ossa scricchiolavano sotto il peso del mio corpo; indolenziti i muscoli si riattivavano a fatica.

mi sono incamminato verso la città, con passo lento. le luci accese facevano sembrare le finestre tante piccole lucciole immobili, quasi fossi disteso in un prato d'estate. mi sono fermato un attimo, il fiato congelava ad ogni respiro, illuminato dalla luce al sodio dei lampioni.

"perché no?" - ho detto prima di incamminarmi di nuovo, mentre la mano in tasca stringeva una piccola macchina rossa con la vernice scrostata.

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