13 maggio 2012

At The End Of The World

- hai gli occhi tristi, e stanchi -

poi si è voltata e se ne andata. è l'ultima cosa che ricordo di lei, assieme ad una carezza sul viso, proprio dove ho una fossetta; quella che lei adorava nel silenzio delle lenzuola al mattino. ancora faccio fatica a rievocare i motivi della nostro abbandono reciproco, perchè sono cose che non succedono da un giorno all'altro ma crescono immobili nascoste dietro alle bugie dette dopo un pranzo o un viaggio o prima di salutarsi. mi sforzo e a malapena mi torna in mente il tono della sua voce quando diceva "ti voglio bene": stava lì assopito e si è risvegliato come le favole che mi leggevano da bambino e che ogni tanto prima di dormire tornano a cullarmi fra l'ultimo pensiero e il primo sogno. 

- ci vediamo in giro, se capita -

solo questo sono riuscito a dirle. poi sono salito in macchina e ho guidato fino ad un posto che non mi ricordasse lei, perchè in fondo quando qualcosa finisce quello che si deve fare è dimenticare; e in fretta. ho guidato e ho fatto saltare i vetri della macchina cantando a squarciagola ogni canzone che passava nello stereo. scalavo le marce con rabbia e ad ogni semaforo mi mangiavo le unghie. il paesaggio assolato scorreva libero incorniciato dalla carrozzeria opaca della mia auto: come un film da pellicola aveva un effetto oltremodo luminoso che faceva così male agli occhi che non potevo fare a meno di piangere. perchè si piange solo se entra qualcosa nell'occhio o se si rimane abbagliati dal mondo esterno nel pieno del mezzogiorno quando i riflessi sulle foglie degli alberi li fanno sembrare giganteschi strobi da discoteca.

non è mai capitato di vedersi in giro. siamo fuggiti tutti e due, lei dietro a un altro uomo innamorato e io dietro al mio lavoro in città agli antipodi del globo. così distanti che sono quasi vicine. mi alzo presto alla mattina e faccio un giro nel campo di mele, o manzanar come lo chiamano i locali, a due passi dal posto in cui vivo. non la chiamo casa perchè ci sono ancora gli scatoloni pieni di cose ammassate alla rinfusa e sono troppo pigro per sistemare tutto. mia madre ha sempre detto che non puoi dire che sia casa tua finchè non hai delle tende appese alle finestre e io, le tende, non ho mai potuto soffrirle. 

il giorno sembra infinito quando ti alzi a vedere l'alba, dura più di un intero sogno ad occhi aperti. mezzogiorno e tramonto li osservo sotto un vecchio tronco inciso da ragazzini con temperini arrugginiti. riposo fino a sera, quando non rimane che un piccolo pezzo di cielo sospeso fra la montagna verde e il sole. la luce non durerà a lungo e allora mi alzo e ritrovo le mie impronte mattutine nell'erba schiacciata. 

- torni a casa, forestiero? -

mi urla javiero, un contadino in canottiera, da sotto un bel cappello di paglia intrecciato a mano dai bambini del posto che si annoiano durante le vacanze estive. usano i quattro spiccioli guadagnati vendendo ornamenti per comprare della coca-cola al bar di paese e vanno a berla in riva al fiume dove abbandonano i tappi di bottiglia nel fango e consumano i primi baci con ragazze ingenue di qualche anno più giovani. 
lo guardo mettendo una mano davanti al volto per nascondermi dall'ultimo squarcio di luce. non vorrei che cadesse una lacrima, chè si piange solo quando si rimane abbagliati.

- no amigo, non ancora.. -