2 novembre 2012

Vagrant Story

come ogni fine estate anche quest anno è arrivato il momento di fare i bagagli e scendere verso la città. fa quasi spavento vedere che tutte le mie cose stanno in poco più di uno scatolone; quelle importanti anche in meno, diceva mio nonno. l'isolamento montano pieno di pagine d'autore, notti fredde, brina mattutina, bici, sole è finito un po' prima del solito e la cosa ha una sfaccettatura malinconica. c'è un cambio di ritmo, da rock-vacanza a speedmetal-università ed ogni scusa è buona per scaricare un film indie, di quelli che la gente di solito non capisce o non conosce o tutte e due le cose. pensando a quello che si lascia e quello che aspetta vien voglia di assaporare per un'ultima volta tutto quello che c'è quassù e che non ha nulla a che spartire con il mondo laggiù. c'è sempre qualcosa da scoprire fra i sentieri della montagna e c'è sempre qualcosa che questa ti racconta, se sai ascoltare bene, in silenzio.

camminando sui campi di fieno appena tagliati mi fermo un attimo fra un covone e l'altro e guardando in altro vedo le prime Viaggiatrici Piumate, le allodole, che disegnano qualche lettera nel cielo trascinandosi verso sud. mi sono sempre chiesto se abbiano paura di perdersi strada facendo: forse stanno solo provando le partenze intelligenti, in anticipo di quasi un mese su tutte le altre. vorranno assicurarsi i posti migliori o evitare il traffico, in fondo tutto il mondo è paese. se passando mi avessero visto sono sicuro che mi avrebbero salutato. 

la stanchezza che si raccoglie all'imbrunire in ogni parte del corpo va stemprata con una lunga pausa e quale posto migliore se non il Re dei Covoni che come una statua riposa in cima alla collina e da lì sorveglia ogni cosa che giace immobile? è lui che quando cala la sera racconta le fiabe della buonanotte per far addormentare tutti gli altri rotoli di fieno e dà un bacio in fronte alla Trebbiatrice che stanca dalle fatiche agricole dorme già in mezzo al campo, vicino al Melo che con le sue fronde la ripara premuroso.

ci vuole un salto secco, deciso, preciso per arrivare quasi in vetta al Re: non è detto che ci si riesca al primo tentativo. bisogna calcolare e controllare ogni attimo di quel movimento come un ginnasta e una volta che le mani toccano la paglia afferrarsi stretti e puntare i pedi trascinandosi sulla sommità come se fosse l'ultima cosa da fare in questa vita terrena. è quando ti distendi a rifiatare per lo sforzo con la schiena che gratta la superficie curva e pungente (nel senso che punge, come un letto da fachiro, anche se non ne ho mai provato uno) che vieni ripagato di ogni fatica. il Re è ancora barcollante e lo senti dondolare appena sotto di te in segno di sconfitta. l'hai domato e riconosce la tua bravura nonostante quel ciondolio continuo sia testimone del movimento sgraziato che ti ha fatto vincere la battaglia: c'è ancora del lavoro da fare.

le allodole ancora lontane dalla loro meta mediterranea sono ormai sparite - come l'ultimo sole - ma hanno ceduto il loro posto alle cicale, i Soprani della Terra, che annunciano la Madre Notte con i loro gracidii intonati in un coro asincrono. mi è venuta improvvisamente voglia di autunno, di castagne, di pozzanghere da increspare saltandoci dentro, di muschio e di giallo e rosso, di cappotti e berrette. c'è ancora un alito di vento caldo che spira da qualche paese fortunato in cui le persone scure in faccia per i raggi del sole portano ceste di frutti tropicali ai mercati e vestono con eleganti e variopinti teli di seta, o forse arriva da qualche paese povero che maledice quella calura incessante e la siccità che provoca. quelle risate e imprecazioni si raccolgono in un solo sospiro che porta lontano tutti i sentimenti e li mescola in un calderone fiammeggiante che ribolle in una tenue tranquillità. 

a poco a poco le stelle si accendono alcune da sole altre in compagnia. chissà se si sentono mai sole essendo così distanti. forse sono solo timide, ché escono sempre di notte e se parli a voce troppo alta certe volte ti sentono e non si fanno nemmeno vedere. forse sono solo le Lampade dell'Universo che esseri alieni accendono per paura del buio e più vicino sei a loro più riesci a vederle meglio. non segnano nessun ora ma mi ricordano che è tardi e che è ora di tornare a casa, davanti al fuoco caldo e vivo. anche il Re è stanco di portarmi in spalla e sta diventando umido e freddo per la fatica. un'ultima occhiata in su, occhi al cielo. c'è un piccolo puntino giallo oro che brilla da qualche parte sopra la mia testa e sembra una neon intermittente di un bar del bronx, quasi volesse segnalare un qualche messaggio telegrafico: punto, punto, linea, punto, linea, linea.... se è un extraterrestre che sta cercando di contattarmi anche lui deve aver fatto tardi, dev'essersi perso in un qualche campo di asteroidi a farsi raccontare qualche storia dalle cose attorno a lui. anche se, devo ammettere, forse è solo una stella difettosa che ha bruciato la resistenza e va sostituita. in fondo anche lì, in mezzo al nulla, c'è bisogno di un elettricista - ma uno bravo - che sappia risolvere il problema. 

e vista l'ora, mi sa che questa volta viene a costare un sacco...



13 maggio 2012

At The End Of The World

- hai gli occhi tristi, e stanchi -

poi si è voltata e se ne andata. è l'ultima cosa che ricordo di lei, assieme ad una carezza sul viso, proprio dove ho una fossetta; quella che lei adorava nel silenzio delle lenzuola al mattino. ancora faccio fatica a rievocare i motivi della nostro abbandono reciproco, perchè sono cose che non succedono da un giorno all'altro ma crescono immobili nascoste dietro alle bugie dette dopo un pranzo o un viaggio o prima di salutarsi. mi sforzo e a malapena mi torna in mente il tono della sua voce quando diceva "ti voglio bene": stava lì assopito e si è risvegliato come le favole che mi leggevano da bambino e che ogni tanto prima di dormire tornano a cullarmi fra l'ultimo pensiero e il primo sogno. 

- ci vediamo in giro, se capita -

solo questo sono riuscito a dirle. poi sono salito in macchina e ho guidato fino ad un posto che non mi ricordasse lei, perchè in fondo quando qualcosa finisce quello che si deve fare è dimenticare; e in fretta. ho guidato e ho fatto saltare i vetri della macchina cantando a squarciagola ogni canzone che passava nello stereo. scalavo le marce con rabbia e ad ogni semaforo mi mangiavo le unghie. il paesaggio assolato scorreva libero incorniciato dalla carrozzeria opaca della mia auto: come un film da pellicola aveva un effetto oltremodo luminoso che faceva così male agli occhi che non potevo fare a meno di piangere. perchè si piange solo se entra qualcosa nell'occhio o se si rimane abbagliati dal mondo esterno nel pieno del mezzogiorno quando i riflessi sulle foglie degli alberi li fanno sembrare giganteschi strobi da discoteca.

non è mai capitato di vedersi in giro. siamo fuggiti tutti e due, lei dietro a un altro uomo innamorato e io dietro al mio lavoro in città agli antipodi del globo. così distanti che sono quasi vicine. mi alzo presto alla mattina e faccio un giro nel campo di mele, o manzanar come lo chiamano i locali, a due passi dal posto in cui vivo. non la chiamo casa perchè ci sono ancora gli scatoloni pieni di cose ammassate alla rinfusa e sono troppo pigro per sistemare tutto. mia madre ha sempre detto che non puoi dire che sia casa tua finchè non hai delle tende appese alle finestre e io, le tende, non ho mai potuto soffrirle. 

il giorno sembra infinito quando ti alzi a vedere l'alba, dura più di un intero sogno ad occhi aperti. mezzogiorno e tramonto li osservo sotto un vecchio tronco inciso da ragazzini con temperini arrugginiti. riposo fino a sera, quando non rimane che un piccolo pezzo di cielo sospeso fra la montagna verde e il sole. la luce non durerà a lungo e allora mi alzo e ritrovo le mie impronte mattutine nell'erba schiacciata. 

- torni a casa, forestiero? -

mi urla javiero, un contadino in canottiera, da sotto un bel cappello di paglia intrecciato a mano dai bambini del posto che si annoiano durante le vacanze estive. usano i quattro spiccioli guadagnati vendendo ornamenti per comprare della coca-cola al bar di paese e vanno a berla in riva al fiume dove abbandonano i tappi di bottiglia nel fango e consumano i primi baci con ragazze ingenue di qualche anno più giovani. 
lo guardo mettendo una mano davanti al volto per nascondermi dall'ultimo squarcio di luce. non vorrei che cadesse una lacrima, chè si piange solo quando si rimane abbagliati.

- no amigo, non ancora.. -