21 gennaio 2011

dream || ɯɐǝɹp

non saprei dire in che luogo, nè in che tempo nè chi con esattezza, ma un giorno qualcuno ha deciso che vivere non era più abbastanza e ha cominciato a raccontare storie; e queste storie erano di una bellezza spaventosa, così meravigliose che facevano dimenticare ad ognuno la propria misera esistenza. si narrava di amanti che condividevano lo stesso cielo e la stessa terra e di eroi il cui cuore traboccava coraggio e zampillava sangue color rovere quand'essi cadevano in battaglia. gli esploratori viaggiavano su navi cariche di frutti esotici, accompagnati da marinai con la pelle d'ebano e i capelli seccati dall'aria marina intrisa di salsedine. le lunghe sciabole riposavano appese alla cinta pronte ad esser sguainate per combattere filibustieri, indigeni e pirati dai denti marci. gli studiosi nelle biblioteche, invece, portavano con loro pile di libri ingialliti scritti con mille calligrafie differenti e avevano sempre qualcosa da fare, come le mamme che accudiscono pazientemente i loro figli. era tutto un sogno che sbocciava e moriva in una sera calmando le preoccupazioni di tutti. qualcuno, un giorno, ha deciso che vivere non era più abbastanza.

è cominciato tutto per gioco, cercando di rinvenire le reminescenze assopite dei sogni notturni sepolte da qualche parte nella corteccia cerebrale. immagini frammentarie e lontane come fotografie fuori fuoco accatastate in un mosaico d'incertezza venivano ripescate nella lucidità del giorno e battezzate nella fontana della consolazione. mettendole in sequenza si componeva una strana storia zeppa di lacune che venivano colmate in modo quasi imbarazzante. rammendare quel tessuto sfilacciato e logoro era un'impresa quasi impossibile perchè chi tentava non aveva parole adatte all'occasione. così si dovevano creare neologismi ed espressioni che arricchivano una lingua povera specchio dell'indigenza della città in cui vivevano tutti. solo alcuni riuscivano a giocare con la lingua del posto e mentre la massa balbettava insicura loro ammaliavano con nuove combinazioni di lettere e accenti. si coprivano i volti con maschere bianche decorate con sottili fili di acrilico nero e portavano lunghi abiti rossi nascondendosi sotto cappucci enormi e scuri. alla sera quando la giornata morta nel tramonto pulsava forte in testa, tutti si sedevano in cerchio rilassando le mani e incrociando le ginocchia e con voce ferma i druidi di questa babele dimenticata cominciavano a parlare avvolgendo le orecchie della platea silenziosa, mentre la fame di esistenza veniva a poco a poco saziata immaginando le colline fiorite ai margini della pianura e le paludi ronzanti di insetti. in antiche torri di pietra lavica cortigiane maliziose intrattenevano nobili che desideravano languidi il loro seno a balconcino e la vita sottile stretta nei corsetti sempre sul punto di esplodere. era un alternarsi di magia che accompagnava fino al sonno quieto i neonati in fasce fra le braccia di giovani donne.

alcuni il mattino dopo non si svegliavano nemmeno, incapaci di affrontare quell'incubo che era diventata al loro routine quotidiana fatta di lavoro, di rabbia, di fatica, di lotta, di incongruenze e di nausea. alcuni scrivevano stralci del racconto della sera prima sui palmi delle mani con inchiostro nero e li rileggevano di nascosto prima che il sudore li trasformasse in scarabocchi senza senso. i bambini all'asilo si coloravano le facce con i pastelli per assomigliare ai loro eroi notturni lasciando i giochi nelle scatole di cartone mentre le maestre si rimiravano negli specchi dei bagni ravvivandosi i capelli e assumendo pose da dive gonfiando i grembiuli e piegandoli malamente a forma di vestiti da palcoscenico. gli uomini al lavoro nei campi spronavano i muli a imbizzarrirsi come cavalli dal crine strigliato con spazzole di rame e maneggiavano le forche e le zappe quasi dovessero scendere in guerra il quel preciso momento e la terra incolta veniva fagocitata dalle erbe selvatiche e dai rovi spinosi. ognuno cercava un modo per fuggire e creare una propria dimensione, surrogato di felicità ingoiato in pillole preserali i cui effetti collaterali violentavano il giorno da vivere a occhi aperti e lucidi. pian piano andavano spegnendosi, ogni anima bruciava sempre meno mentre la testa esplodeva trincerandosi dietro l'idillio di un re normanno; e presto giunse il tempo dell'ultima storia e dell'ultimo respiro prima del rassicurante sonno eterno.

qualcuno un giorno ha deciso che vivere non era più abbastanza e ha ingannato il tempo e lo spazio con racconti che vivono d'infinito e tutti si sono abbandonati alle più tenere visioni percorsi da brividi e da spasmi mentre compiacevano il proprio ego di porcellana decorandolo con la voluttà della loro esistenza. ormai lo spavento dell'ignoto era dilagato come una malattia infettiva e nessuno voleva tornare a quell'incertezza costruita giorno dopo giorno nelle case e negli appartamenti, negli uffici e nelle scuole. sorrisi felici su volti sereni si spegnevano in fiabe cavalleresche che tutti avevano scelto. avevano fatto a cambio come bambini che giocano a completare un album di figurine perchè, assorti e ingenui, avevano scordato che in realtà anche il nostro mondo nasce e muore di continuo, silenzioso, come "un sogno dentro un sogno".