la luna macchiata di caffè ancheggia nel cielo pieno di lucciole distanti anni luce. è tardi, l'orologio degli umani scandisce le ore svogliato, non dorme mai e sbadiglia ad ogni rintocco sordo, mentre quello degli dei riposa senza lancetta alcuna. è ovale, color ciano, con una grande pancia scoperta. il silenzio serpeggia per le strade deserte, benedicendo le case con le tapparelle abbassate. lontano, da qualche parte, un treno viaggia guidato da un conducente distratto che sta leggendo un libro di poesie d'amore scritto in francese, sottovoce.
in piedi vestito di un pigiama sgraziato cerco qualche pagina di conforto, invecchiata sulle mensole di rovere. cerco lettere scritte dai soldati al fronte alle loro famiglie, vaneggiamenti urbani di pederasta con il pallino della storia della loro nazione, sonetti di nobiluomini inglesi composti in epoca vittoriana. quando finalmente decido di sedermici, la poltrona sprofonda, soffiando stanca. il salotto profuma di buono, come se dei semi di cacao si fossero uniti in matrimonio con baccelli di vaniglia per deliziare il mio olfatto.
se nel partire avessi salutato i tuoi occhi color abete persi nel vuoto dell'addio con una canzone, da un vagone in movimento sulle rotaie della tua vita, mi ricorderesti ancora con rabbia? e se fossi stato indulgente con le attenzioni assillanti, così forti da rompere il muso duro che stampavo sul mio viso, mi rivorresti indietro, Monnalisa?
il mio ritorno è solo per te: stavo bene dove ero e non avevo bisogno di nessuno. nessuno, nessuno, nessuno. ero un negro che ballava e cantava suonando tamburi di pelle d'animale alla luna coraggiosa del mio continente, della mia isola - solo mia! - in cui nessuno poteva avventurarsi se non con il timore di lasciarsi ogni cosa alle spalle. io sono sempre stato un nibbio orgoglioso e volavo rasoterra spaventando tutti. perchè, mi chiedi? perchè mi andava, tesoro! perchè volevo beccare la gola dei topi randagi che si mettevano sulla mia strada pensando di poter scappare cercando rifugio nelle loro tane buie, sotterranee. e io, ben lo sai, non cercavo cunicoli in cui infilarmi.
e tu, Mononoke, mi terresti nella tasca dei tuoi pantaloni, quella cucita da tua nonna prima di morire e rinascere come daino, se potessi? mi terresti stretto a te, nascosto da tutto il caos della tua metropoli, costruita dagli uomini per distrarsi a vicenda? mi terresti al sicuro del tuo affetto disinteressato, che doni anche al primo idiota che ti sorride e ti dedica una canzone? lo merito, sai?
posso farlo anch'io e sarebbe la più bella canzone che tu abbia mai ascoltato; perchè la mia non parlerebbe d'amore ma di me e te, semplicemente. non sarebbe messa in musica ma suonerebbe per sempre nella tua testa, ogni qualvolta penseresti al nostro primo appuntamento - sotto le stelle di Novembre - e se qualcuno tentasse di rubartela tu potresti dire che non è mai esistita, perchè tutto il mondo messo assieme in silenzio comunque non potrebbe sentirla.
posso fare mille e mille cose per te, Principessa, ma tu continueresti a regalare sorrisi al primo uomo che porge una rosa sbiadita, che ti compra con un po' d'attenzione nel meriggio stanco della tua giornata. e allora se ci fossimo incontrati in un altro tempo, allevato da madre serenità, ci saremmo amati con la stessa passione? se ci fossimo incontrati in un giorno di pioggia, riparati da grandi ombrelli tondeggianti, ci saremmo fermati a parlarci con voce rotta dall'emozione? se anch'io avessi giocato con te avrei ottenuto un tuo bacio? non l'avrei voluto, sai, ad ogni modo.
perchè? - ti chiederai...
perchè non posso smettere di cercare un amore vero che non so trovare. non perchè non esista per me, ma perchè sono troppo distratto e svogliato per impegnarmi a coltivarlo e preferisco gioire della mia risata dolce che allieta i pomeriggi, piuttosto che lavorare come uno schiavo devoto alla monotonia di una storia di due persone un tempo amanti sinceri. perchè ho bisogno di un mare in cui perdermi prima di trovare qualche risposta. perchè ho bisogno del mio sole e della mia ombra, del mio pasto frugale e del mio libro muffito sulle ginocchia. perchè come un neonato piango ogni volta che vengo al mondo e devo soddisfare il mio desiderio edonistico di corteggiare ogni donna dalle labbra colorate di rosso.
perchè come te, Nausicaa, non posso esser di nessuno, se non di me stesso..