12 luglio 2010

Whale

mi sono sempre chiesto come sarebbe viaggiare per il mondo dentro la pancia di una balena: essere fagocitato da un cetaceo gigantesco - una megattera, per esempio - e solcare i mari giocando a fare il pirata. dev'essere la voglia di partire che gioca qualche brutto scherzo al cervello sotto pressione, e mescola realtà e fantasia come un alchimista di altri, lontani tempi.

mentre sogno di essere il terrore dei sette mari, cammino a piedi nudi sull'erba tagliata di fresco: un ossimoro vivente. nel tragitto il pizzicore risveglia le estremità abituate a comode suole di gomma, richiamando voraci istinti primitivi. è come se un volto selvaggio stesse emergendo dal nulla, un messaggio subliminale impresso nei geni corrotti dalle comodità casalinghe.

disteso immobile, sento il sole bruciare la pelle e l'aria spegnerla prima che divampi un incendio. uno spruzzo d'acqua mi coglie di sorpresa, impertinente, rinfrescando per un momento la mia lucidità annebbiata. le betulle scosse dal vento tintinnano come un carillon a molla; è una lenta sinfonia estiva.

le gocce d'acqua ornano la bottiglia che riposa sotto l'ombrellone. mi mette paura per come si erge mastodontico e austero, ma il suo ciondolìo distratto in qualche modo mi rassicura. per un attimo mi convinco di sentire profumo di mare, quel profumo di crema abbronzante, sabbia, sale e pelle dorata che sussurra estate ogni volta che lo respiri.

le infradito abbandonate una sopra l'altra, l'asciugamano disteso con qualche increspatura qua e là e l'orlo sollevato, le sedie vuote davanti al piccolo tavolo di plastica inutilizzato. mi siedo sull'altalena rossa e dondolo, pensando che qui sta cambiando un po'tutto.
penso alle serate passate a mangiare ciottoli di porfido e asfalto cambiando continuamente persona, saltando di posto in posto per cercare una qualche novità, immaginandomi a torto figlio di una beat ormai estinta. penso ai balli e alle risate che rispondevano ai commenti sadici e esagerati, fatti senza cattiveria per dimenticare la giornata che ci siamo lasciati alle spalle.

penso a partire. mi immagino i grattacieli, che come giganti di cemento e vetro ci guarderanno dall'alto, pronti ad essere demoliti dai flash delle macchine fotografiche di turisti troppo zelanti e avari di ricordi. l'essere trascinati da un fiume di persone nella notte piena di insegna luminose alla ricerca di qualche quartiere naive in cui riposare le gambe stanche e chiacchierare con qualche sconosciuto. le corse in metro mentre assorti si cerca una corrispondenza fra il nome della fermata e la cartina omaggiata da un punto informazioni. navigare nelle vie più insolite alla ricerca di un attracco per rifocillare le bocche affamate e avide di sapori esotici, o quanto meno estranei abbastanza al gusto comune da sembrare ricercati.

prendo la benda nera per coprirmi un occhio, una bandana nera con teschi ricamati diventa un prezioso girocollo, lo spadino di plastica è infilato nella cintura dei pantaloni larghi e consunti. carico qualche provvista sulla scialuppa, una rete da pesca, una foto per non sentire nostalgia, sperando che nel tragitto qualcosa abbia abbastanza fame da volermi mangiare.
mentre parto per questo viaggio improvvisato mi accorgo che la voglia di avventura continua a giocare irriverente con pindariche fantasie infantili. il sole continua bruciarmi la pelle lattiginosa, senza mostrare alcun riguardo, mentre sono disteso su un asciugamano increspato.

mi chiedo davvero come sarebbe viaggiare per il mondo dentro la pancia di una balena...