21 aprile 2010

Pointillisme

le giornate stanno prendendo il sopravvento sul tempo della vita. i minuti fagocitano se stessi con una voracità animale, il ticchettio dell'orologio da polso mi rincorre per i corridoi dell'università.

la mia sigaretta sta bruciando piano piano, appesa alle labbra socchiuse, consumandosi come l'incenso in chiesa. il fumo sale verso l'alto contorcendosi nell'aria tiepida della sera. riesco a vedere tutta la valle da dove sono: il verde degli alberi si dirada verso il fondo, trasformandosi in uteri di cemento armato e torrenti d'asfalto grigio. è come osservare un fotogramma di una pellicola d'epoca, trattata per restituirle colore e luminosità.

la biblioteca si sta svuotando per via degli stomaci affamati. le cerniere si chiudono velocemente e gli zaini scompaiono dai tavoli biancastri. le clessidre sugli schermi piatti sono l'ultima fatica dei computer rimasti accesi tutto il giorno, poi nero pece.

pensavo alla vita prima e alla vita dopo, quindi pensavo al niente. è l'attimo in cui comprendi il senso di tutto prima di abbandonarti al ritmo quotidiano, ancora e ancora. il momento di verità che fa da comun denominatore ad ogni giornata e che ti accompagna fino alle coperte rimboccate e al profumo intenso di pulito, che risuona nei sogni quando gli occhi schizzano a destra e a sinistra senza controllo.

le persone che vanno e vengono, senza mai fermarsi. le voci che ti rassicurano quando non sai cosa fare perché suonano familiari e ti ricordano l'infanzia. le scritte sbiadite sui diari di scuola che testimoniano come eravamo. le ginocchia sbucciate sul cortile d'asfalto: bastava soffiare, dicevano. che male! il profumo della torta appena uscita dal forno. i litigi per chi doveva impersonare il cavallo alato. il tuo profumo. il tuo sapore.

le macchine in coda sulla collina sono ancora ferme, sono piccole e lontane e mi ricordano tele ottocentesche: un sorta di pointillisme. è un dipinto in cui sono immerso senza affogare. è un'attimo di perfezione che scompare nell'istante in cui chiudo gli occhi per cercare di fissarlo sulla retina. quando lo cerco, di nuovo, è già sparito.

spengo la sigaretta consumata fino al filtro ingiallito, l'ultimo rumore che accompagna la mia giornata, e scendo a valle. fra cemento e asfalto.

16 aprile 2010

Grace is gone

sei distratta dalla conversazione con la tua amica, bionda statuaria truccata come una prostituta d'altoborgo. ogni volta che porta la sigaretta alla bocca increspa le labbra ruvide e colorate, disegnando un'espressione di disgusto misto a strafottenza. il bordo della sua minigonna si confonde con il collo del Montgomery che indossa. non ha niente da spartire con la tua bellezza sofisticata.

ascolti la sua risata acuta e intermittente come le lampade al neon di insegne luminose che hanno sponsorizzato per troppi anni il negozio sotto di loro. rispondi con leggerezza abbozzando un sorriso imbarazzato, come la prima volta che ci siamo stretti la mano. mi accorgo di non averti mai sentito ridere, non ti ho nemmeno mai parlato.

la platinata comincia a far strabordare la sua invadenza: quel suo corpo anoressico si sta gonfiando come un pallone aereostatico. come fai a sopportarla? sta volando a qualche metro dal suolo. io la vedrei bene tre metri sotto terra.

l'ossuta si dilegua in fretta con la scusa delle lezioni. ti stampa tre baci frettolosi sulle guance color carne, fingendosi dispiaciuta. allontanandosi scuote la mano e si mette gli occhiali da sole fra i capelli. i tacchi rimbombano sul selciato della terrazza, colonna sonora degna della sua uscita.

tu rimani lì, seduta, a guardarti la punta delle scarpe, gli occhi profondi color dell'autunno. i capelli sciolti s'infrangono sulle spalle minute. le labbra color ciliegia mosse da uno sbuffo. incroci le braccia, incroci il mio sguardo mentre sollevi la testa per cercare il sole. esito un attimo, per un momento mi perdo pensando a quello che vorrei dirti. gli studenti passano svogliati fra di noi annoiati dal chiacchiericcio dei professori, dev'essere finita l'ultima ora di lezione della mattina. il fiume di gente mi trascina via mentre tutto rallenta. saluto facce fin troppo conosciute. tu rimani lì, ad osservare il caos degenerare e ad ascoltare il vociare assordante.

ti immagino in molti modi, ogni volta una persona diversa dipinta con quel tocco di te che basta a farmi sorridere. ti immagino vivace e tranquilla, solare e introversa. compari improvvisamente nei posti più impensabili e sei una sorpresa ogni volta. sei una magia di cui non svelano il trucco e che continua a sorprendere ogni volta che si osserva. sei la fine melodrammatica di ogni storia d'amore che lascia caldo il cuore. sei la nuvola che gioca a imitare le forme più bizzarre mentre la si guarda da un verde prato estivo.

ti alzi e vai via saltando i gradini della scalinata a due a due. ti seguo stordito da quelli che mi circondano e mi chiedono cosa ho che non va. scompari dietro l'angolo della biblioteca con un tocco di mistero. fisso il muro sperando che ti sia dimenticata qualcosa, uno stupido pretesto per rivederti. caffè; ho bisogno di un caffè e di una sigaretta. ho bisogno di vederti una volta ancora, di scoprire qualcosa ancora. di parlarti con più di quattro lettere.

mi urlano qualcosa e mi accorgo di essere tremendamente in ritardo. rientro in aula. hanno cominciato senza di me. mi affretto a recuperare sbattendo penne e quaderni sul banco di fòrmica. un respiro profondo prima di cominciare. un altro ancora, l'ultimo.