7 settembre 2009

It's been a while...

dicevano un sacco di cose mentre io non li ascoltavo. dicevano di essere grandi e saccenti. dicevano di conoscere il significato della parola vita. dicevano di essere ancestrali sciamani capaci di lenire le ferite dell'esserci, ogni giorno, quaggiù. parole di poco interesse mi lambivano le gote, trascinate da voci ardenti come le fiamme dell'inferno, pronte ad incenerire ogni singolo atto di ribellione. la mia espressione intontita, ebete, li innervosiva a tal punto da trasformare le loro bocche in crateri vulcanici e la loro bava virulenta in lava incandescente. dicevano davvero tante cose, ma non era importante ascoltare. avevavo già una platea con fedeli ed assidui spettatori, io ero solo di troppo, immmobile fra tanti.

siedo tranquillo in una giornata di fine estate, respirando i primi profumi autunnali. forse è solo immaginazione, forse solo plagio dovuto alle prime premature foglie gialle. mentre osservo i ghirigori che il fumo grigio della sigaretta disegna in aria, noto che l'edera avvinghiata alla recinzione in fondo al viale ha già indossato il suo più bel vestito color ambra; noto la pelle irritata dal freddo mattutino; noto le ombre lunghe e sognanti che aspettano di accorciarsi con il passare del tempo. sento ogni ticchettio scandito dalle lancette dell'orologio appeso sul muro bianco della cucina. sento le vacanze che scappano frettolose e, senza nemmeno salutare, scivolano via per perdersi in qualche posto che non conosco ancora. sento la vita che urla il suo richiamo: violenta reclama la routine perduta nell'abbronzatura e nelle serate passate a fare baldoria. schiamazzi piacevoli in lontananza, bimbi perduti nelle loro fantasie di fanciulli si azzuffano al parco mentre madri distratte chiacchierano spettegolando del più e del meno.

è arrivato il tempo degli applausi. mi alzo e mi avvicino all'uscita prima che quel caotico consenso uccida quel poc di vivo che è rimasto dentro di me. volto le spalle al pubblico in delirio, i passi veloci diventano una forsennata corsa verso le porte: blindate. batto i pugni contro il legno massiccio fino allo sfinimento, tonfi sordi che nessuno sente. sembrerebbe buona educazione aspettare come tutti la fine dello show e porgere ossequi agli interpreti sul pacoscenico, rovente per la perfomance, ma sono stato trascinato controvoglia e la cosa mi riesce alquanto difficile. qualcuno nota la mia disapprovazione, mi biasima con occhi pieni di malcelata disapprovazione.

sento uccelli cinguettare ma non li scorgo volare nel cielo pomeridiano, agghindato con qualche nembo minaccioso. deluso, mi consolo con una mela troppo farinosa per essere apprezzata. la cena incombe e il mio stomaco reclama attenzione. mentre tolgo la buccia a delle patate con un coltello affilato, come ai vecchi tempi, sento un forte profumo di terra. il terriccio fresco e genuino inonda le mie narici rallegrando per un attimo solo il noioso lembo di tempo che si frappone fra il pomeriggio e la sera.

un ricordo. oggi ho messo da parte un ricordo di fine estate, mentre le mamme chiacchieravano e i bambini sognavano di fare i pirati o gli esploratori o gli astronauti, mentre la natura era intenta a cambiarsi d'abito per il grande ballo di fine stagione e le lancette dell'orologio si rincorrevano giocando a nascondino.